[1] 4.7.7. Un lavoratore-risparmiatore.

 

SINTESI: 4.7.7.1.i.: Malevole dicerie e realtà sull’iceeuro; 4.7.7.2.i: Potenzialità di risparmio prima e dopo l’iceeuro.

 

4.7.7.1. MALEVOLE DICERIE E REALTÀ SULL’ICEEURO.

 

4.7.7.1.1.                L’introduzione dell’iceeuro aveva fatto correre un fiume di dicerie, ma tutto quello che i suoi oppositori gli avevano detto contro, si è rivelato falso.

4.7.7.1.1.1             Ad esempio, s’era predetto che assolutamente nessuno sarebbe più riuscito ad incrementare i risparmi, che gli interessi passivi si sarebbero elevati Dio solo sa quanto: è avvenuto esattamente il contrario.

4.7.7.1.1.2             Tant’è vero che - esattamente come prima – mensilmente verso, tutto ciò che son riuscito a risparmiare, alla Banca, che me lo accredita sul mio libretto e, fin qua non era stato ipotizzato niente di diverso;

4.7.7.1.1.3             ma si affermava anche che l’iceeuro avrebbe continuato a squagliarsi anche dopo il deposito, cosa rivelatasi un malevolo falso, perchè, ad ogni mio deposito, la Cassa di Risparmio contrae un debito, verso di me, d’un certo numero di iceeuro;

4.7.7.1.1.4             ora, se io presto a qualcuno un mezzo quintale di patate, lui, nel futuro, non mi restituirà le mie stesse patate semimarcite, ma lo stesso peso in patate, tratte dal suo nuovo raccolto.

4.7.7.1.1.5             E la stessa cosa avviene con qualunque Banca, che non mi restituirà per niente le stesse banconote sa me consegnatele, bensì la stessa quantità di iceeuro a mezzo di banconote in corso;

4.7.7.1.1.6             e può fare ciò poichè anche i suoi prestiti sono soggetti alle medesime condizioni, tanto neanche gli artigiani e contadini, che hanno ricevuto il denaro, lo tengono fermo dentro casa,

4.7.7.1.1.7             ma lo spendono così spalmando la perdita, da squagliamento dell’iceeuro, sulle molte persone, nelle cui mani sia passato il denaro, nel corso dell’anno.

4.7.7.1.2.                In conclusione, mentre per quanto riguarda le formalità del deposito tutto è rimasto come prima, è il saldo attivo che mi rallegra notevolmente, perchè adesso riesco a risparmiare molto di più;

4.7.7.1.3.                questa circostanza viene spiegata da ognuno a modo suo:

4.7.7.1.3.1.           I socialdemocratici lo spiegano con una corrispondente generale diminuzione generale del plusvalore come conseguenza dell’ottenuta progressiva contrazione del saggio d’interesse: il reddito da capitale (i casermoni, le ferrovie, le fabbriche ecc.ra.) sarebbe insomma diminuito;

4.7.7.1.3.2.           Il cassiere della nostra associazione di consumo invece lo spiega con una contrazione quasi del 30% dei costi aggiuntivi del commercio, passati da un iniziale 40% ad uno scarso 10%, talchè io, già solo per questo, verrei a risparmiare circa un 30% sui miei acquisti.

4.7.7.1.3.3.           Ancora secondo i socialdemocratici sarebbero stati eliminati alcuni fattori di disturbo dell’economia.

4.7.7.1.4.                Molto probabilmente hanno ragione tutti e tre, ma personalmente preferisco pensare essenzialmente al risultato: invece di risparmiare 100 euro l’anno, ora, anche se vivendo meglio di prima, risparmio molto di più[2]; e poi questo andamento è generalizzato e condiviso da assolutamente tutta la classe operaia.

 

4.7.7.2. POTENZIALITÀ DI RISPARMIO PRIMA E DOPO L’ICEEURO.

 

4.7.7.2.1.                Com’erano, in precedenza i miei rapporti col risparmio? Ad ogni crisi economica da ristagno della produzione, mi trovavo senza lavoro e costretto ad attingerci, oltre che a contrarre debiti coi fornitori di alimentari;

4.7.7.2.1.1             così la ripresa dei versamenti tardava ad arrivare, e talvolta erano necessari addirittura intieri anni per riempire la pagina del mio libretto presso la Cassa di Risparmio, un autentico lavoro di Sisifo[3]!

4.7.7.2.1.2             Ora, invece, non solo io ho un lavoro continuo ma anche nessun imprevisto mi costringe ad intaccare i sudati risparmi;

4.7.7.2.1.3             così, con sorprendente regolarità, v’apporto mensilmente il surplus; e certamente questo non succede solo a me, ma sicuramente a tutti, dato che c’è sempre la fila.

4.7.7.2.1.4             A causa del perdurare di depositi maggiori delle richieste d’affidamento, Unionbanche non fà che ridurre il saggio d’interesse per lei passivo: proprio in questi giorni ne ha annunciato un’altro per il prossimo mese,

4.7.7.2.1.5             anche se, in questo breve tempo dall’introduzione dell’iceeuro, dall’iniziale 4%, esso, era già sceso al 3%:

4.7.7.2.1.6             estrapolando questa tendenza, si può realmente pensare ad un loro azzeramento, confermando le previsioni dei sostenitori dell’iceeuro.

4.7.7.2.2.                La flessione delle richieste di prestiti, poi, continuerà a sussistere per le stesse ragioni che hanno consentito a me d’incrementare i risparmi: artigiani, contadini ed imprenditori ora possono, almeno parzialmente, autofinanziarsi;

4.7.7.2.2.1             perdurando questa situazione, continueranno a scendere gli interessi, che notoriamente dipendono dal rapporto tra offerta e richiesta:

4.7.7.2.2.2             in previsione di ciò la paginetta già scritta del mio libretto ha messo il lutto, mentre quelle ancora intonse - e che poi sono in numero ben maggiore - hanno intonato la marcia trionfale!..... e mi spiego.

4.7.7.2.2.3             Ma che sono poi gli interessi? e chi li paga? Il mio risparmio, di ieri come di oggi, non è altro che quanto rimane del mio salario, detratte le spese familiari martoriate dai profitti di capitale:

4.7.7.2.2.3.1.       già, nelle tasse che pago, ve n’è una quota parte notevolissima, che lo Stato ed i comuni devono rimborsare per il finanziamento delle opere pubbliche e sociali,

4.7.7.2.2.3.2.       ma anche tutti i miei acquisti sono aggravati, pro quota, per tutti i profitti di capitale pretesi su case, uffici, negozi, macchinari, ferrovie, canali, gas, acquedotto ecc.ra.

4.7.7.2.2.4             E mentre ogni discesa del saggio d’interesse colpisce il cittadino proporzionalmente alle piccole cifre del suo risparmio, contempora-neamente però lo accarezza in proporzione a quelle, invece molto grandi, degli investimenti che gli sono necessari.

4.7.7.2.2.5             Tanto per incominciare, col saggio d’interesse al 4%, il mio affitto si mangia il 25% del mio salario; e poiché esso è costituito per due terzi da interessi sul costo di costruzione, il 17% del mio salario, in cifra tonda, finisce così;

4.7.7.2.2.5.1.       ma se il saggio d’interesse scende, allora per ogni punto di discesa risparmierò un 4,25% del mio salario - e questo solo per gli interessi dell’affitto di casa!

4.7.7.2.2.6             ........ ma per quanto importante sia l’immobilizzo in abitazioni, esso, notoriamente, rappresenta solo un quarto di tutto quello a lungo termine, la cui quota parte io devo contribuire ad ammortizzare col mio lavoro [4]:

4.7.7.2.2.6.1.       pertanto, ogni punto di diminuzione degli interessi alla lunga corrisponderà, per me, ad una complessiva maggiore capacità di risparmio, pari a (4 x 4.25%) = 17% del mio salario!!

4.7.7.2.2.6.2.       Sia allora la benvenuta: rinunzio volentieri agli interessi attivi sui miei risparmi!

4.7.7.2.2.7             Dal mio reddito annuo di 1000 euro, in precedenza io, a malapena, riuscivo a risparmiarne cento e quindi, con l’interesse composto al 4% in 10 anni arrivavo ad euro 1.236,72[5].

4.7.7.2.2.7.1.       Invece, per ogni punto di diminuzione degli interessi, sarà come se il mio stipendio annuo aumentasse di (17% x1.000) = 170 iceeuro;

4.7.7.2.2.7.2.       e quindi, una volta completamente azzerato il saggio d’interesse, da un reddito annuo di 1.680,00 iceeuro, conterei di risparmiarne 1.100,00, pari, in dieci anni, a 11.000 iceeuro, cioè quasi dieci volte il precedente valore di raffronto:

4.7.7.2.2.7.3.       ben al di là di danneggiarmi, la sparizione dei redditi da capitale potenzierebbe quindi enormemente il mio risparmio!!

4.7.7.2.2.7.4.        Ma estendiamo adesso i conteggi a 20 anni: nel primo caso (vedi tabella a fine capitolo) si hanno € 3.056,46; nel secondo: 1.100 x 20 = 22.000,00[6].

Periodo d’accumulazione: 20 ANNI

 

EURO

con l’interesse del 4% composto

ICEEURO,

ovviamente senza interessi

TOTALE DEL MONTANTE €

3.056,46

22.000,00

Corrispondente, al 4% ad una pensione di € mensili, conservando il capitale €/mese

 

10,19

-

Esaurendo in anni 30 anche il capitale si hanno mensilmente (vedi tabella a fine capitolo) €/mese

 

 

14,592

 

 

(22.000/360) = 61,11

FABBISOGNO VITALE MENSILE €/mese

(1.000-780)/12 = 18,33

580/12=48,33

 

4.7.7.2.2.7.5.       Usufruendo (ovviamente solo nel primo caso) della redditività 4% del residuo ed invece, in entrambi i casi portando progressivamente ad esaurimento il capitale, nel primo caso non avrei ancora di che sopravvivere (pensione mensile ice€ 14,59, fabbisogno 18,33),

4.7.7.2.2.7.6.       mentre nel secondo (pensione mensile ice€ 61,11, fabbisogno 48,33), non solo potrei già cessare di lavorare, ma anche mantenere addirittura un tono di vita un po’superiore all’abituale.

4.7.7.2.2.7.7.        Così si prova definitivamente il vecchio detto, che oro ed interessi fanno truffaldinamente risparmio: anzi, gli interessi lo rendono quasi impossibile.

4.7.7.2.2.8             Allora ben venga l’azzeramento degli interessi, hip,hip, hurrà!......così ognuno potrà risparmiare agevolmente, mentre ora solo alcuni benestanti od i ferocemente rinunciatari possono esercitare questa virtù civile!

4.7.7.2.3.                In caso di azzeramento degli interessi, per i ricchi ed i redditieri, si verificherebbe naturalmente ben peggio del semplice contrario, dato che, finchè anch’essi non si mettessero a lavorare,

4.7.7.2.4.1             la perdita di reddito della loro proprietà non verrebbe controbilanciata dagli indiscutibili vantaggi salariali connessi all’eliminazione degli interessi: si vedrebbero costretti, per vivere, a consumare il capitale.

4.7.7.2.4.2             Fra classe operaia e redditieri la situazione verrebbe quindi ribaltata, perchè attualmente i primi risparmiano solo dopo aver spesato, con il loro lavoro, gli interessi a vantaggio altrui:

4.7.7.2.4.3             [7]anche se, indubbiamente, si sta, tutti e sempre, sulla stessa barca, però la classe operaia sudando ai remi, mentre i capitalisti gavazzando e giocando e - come se non bastasse - talvolta pure a scassabarca!

4.7.7.2.4.4             Si pensi alla e si constati la enormità della differenza, tra i due succitati montanti (22.000-3.056) = 18.944 [8] iceeuro che rappresenta quanto io, in vent’anni, dovrei pagare, al capitale, in interessi, per arrivare a risparmiare solo 3.056 euro!!

4.7.7.2.4.5              .....a questo punto si lagnino pure i redditieri per la diminuzione degli interessi: noi risparmiatori, cioè classe operaia risparmiante, dobbiamo salutare e saluteremo gioiosamente un simile avvento!

4.7.7.2.4.                Anche se certo, in questo modo, per tutti è preclusa definitivamente la possibilità di vivere di rendita senza intaccare il capitale, e noi, pur vivendo agiatamente fino alla fine della nostra vita, probabilmente non potremo lasciare, ai nostri eredi, una qualche eredità,

4.7.7.2.4.1             ma, per i posteri, non avremo provveduto già a sufficienza, non solo ammortizzando una gran parte delle infrastrutture economiche, ma anche, con queste due sostanziali riforme, proteggendo definitivamente il loro futuro profitto di lavoro dai relativi interessi d’ammortamento?

4.7.7.2.4.2             Solo la riforma di liberterra raddoppia[9] gli introiti della classe operaia, mentre l’iceeuro li raddoppia ulteriormente:

4.7.7.2.4.3             quindi, solo con l’introduzione di queste due innovazioni, da noi faticosamente conquistate, noi abbiamo fatto scoprire, ai posteri, un tesoro che comporta per loro così tanto capitale da assicurargli ben il triplo in più del compenso originario!

4.7.7.2.5.                Del resto non ci si dimentichi quanto segue: se la parsimonia sia una virtù, come predicano incondizionatamente tutti a tutti, ed ammettendo che lo sia, allora certamente dovrebbe essere consentito a tutti di poterla esercitare, almeno finchè - rivelandosi controproducente - non produca danno per l’economia nazionale.

4.7.7.2.5.1             Ora nell’economia privata si verifica che risparmio sia uguale a molto lavoro, cioè molte merci prodotte e portate al mercato, diminuito di poche merci comprate; è questa differenza, fra il ricavato dei propri prodotti venduti e l’importo di quelli altrui acquistati, che forma il risparmio, che finisce nei depositi bancari.

4.7.7.2.5.2             Ma che succederebbe se ognuno portasse al mercato 100 iceeuro, comprando solo per 90 e desiderasse risparmiarne 10? Come si può risolvere questa contraddizione, contemporaneamente offrendo a tutti la possibilità di risparmiare?

4.7.7.2.5.3             La risposta è stata l’iceeuro, basato sul principio cristiano di fare all’altro quello che vorresti che fosse fatto a te, una sua applicazione intensiva ed estensiva:

4.7.7.2.5.4             vuoi che i tuoi prodotti siano comprati? ....... allora compra anche tu quelli del tuo prossimo!....se hai venduto per 100, devi anche comprare - o almeno far comprare - per 100!

4.7.7.2.5.5             Non appena si verifichi ciò, non appena sia possibile vendere la completa produzione, ognuno potrà risparmiare, nel senso che le condizioni di vita così felicemente raggiunte, gli toglieranno completamente sia la necessità che la voglia di farlo!

4.7.7.2.5.6             Ma, in caso contrario, la tua facoltà di risparmiare impedisce vicendevolmente, al prossimo, l’altrettanto suo naturale diritto di poterlo ugualmente fare.



[1] N.d.t. : in tedesco tutte le cifre sono in d.m., da me arbitrariamente tradotti 'euro' od 'iceeuro' ; titolo originale 'Der Sparer', letteralmente 'Il risparmiatore', ma l' infame articolo infrariportato mi ha spinto a cambiarlo, per subito  evidenziare che chi parla é, in realtà, è un esponente della classe operaia, obbiettivo, colto, evoluto e cosciente, diciamo un Di Vittorio. Anche se si firma con le sole iniziali, l’ autore dell’ infrariportata infamità è il prof. Gianfranco PALA, docente di Economia Industriale presso la Sapienza (povera Sapienza !), che i suoi studenti chiamano l' asinistro (non so se con uno spiritosissimo impiego dell' alfa privativa greca od una non meno maliziosa contraction : comunque da premio Nobel dell’ umorismo !). Altre sue abituali ma singolari affermazioni sono l’ affermare che Keynes, oltre ad essere frocio, avrebbe studiato Marx su un Bignami ; e d’ esser praticamente l’ unico italiano ad aver attentamente e profondamente studiato G. nella traduzione francese del suo capolavoro : da come ne parla – e come vedrete - non deve esser andato molto oltre l’ indice ! ……anche perché in un altro suo articolo 'Lo stato del capitale e la sua contraddizione' sostiene addirittura che G. sarebbe austriaco, quando, statisticizzando la sua opera, ‘Germania’ e ‘Tedesco’ sono le parole più ricorrenti !   Oltre a stroncarlo e svillaneggiarlo, scrive e lamenta FALSAMENTE quanto, nell' articolo, ho evidenziato in grassetto-rosso, spingendomi a fare la modifica di cui sopra.  Rivista 'La Contraddizione' , numero 53, Roma 1996 IL LORD, IL PROFETA E IL ROZZO PROLETARIO, opinioni proudhoniane di Keynes e Gesell sul comuni­smo, di Gf.P.     " Silvio Gesell, chi era costui? Il Carneade di turno che John Maynard Keynes elesse a suo "negletto profeta", abbastanza sconosciuto e incolore per non fargli ombra. Anzi, la considerazione datagli dal lord inglese può così perfi­no apparire come estremamente generosa. Dunque, le sue "profezie" meritano una qualche attenzione. Ma procediamo con ordine, partendo dalla fine, ossia dalle posizione consolidate del suo stesso mèntore, Keynes appunto. Vogliamo anzitutto sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, nei quali troppo spesso cade la sinistra. Saremmo gli ultimi a ritenere che tra Key­nes e von Hayek non corra alcuna differenza, o che il primo sia più reazionario del secondo - ancorché un pensiero social-corporativo per alcuni rispetti lo sia più di uno liberal-conservatore. Quest'ultimo rischio è comprovato dal fatto che fascismo e nazional-socialismo sono figli della colpa del socialismo, e nella fat­tispecie di quello più massimalista e populista, da cui, distorcendoli, ne hanno mutuato concetti, termini, parole d'ordine. Conferma indiretta ne sia [con riferi­mento al tema della scheda in questione] anche il tono della prefazione per l'e­dizione tedesca che lo stesso Keynes scrisse il 7 settembre 1936 per la sua opera maggiore, la Teoria generale. A quella data (crediamo che sia noto) governava già da tre anni in Germania il sistema nazionalsocialista del capitalismo mono­polistico finanziario: ed è in tal senso che va letta l'indicazione di Keynes se­condo cui la sua <teoria complessiva della produzione si adatta assai più facil­mente alle condizioni di uno stato totalitario>. Del resto egli stesso aveva preav­vertito, in via di teoresi, che <la scuola di Manchester e il marxismo derivano entrambi in ultima analisi da Ricardo, conclusione soltanto a prima vista sor­prendente. Ma in Germania è sempre esistita una larga sezione di opinione che non aderiva né all'una né all'altra>. Anche i papi di Roma, da molti conclavi in qua, proclamano ad alta voce che liberismo e marxismo sono le due facce della stessa medaglia: è sulla loro scia la parola d'ordine fascista "pura" contro capi­talismo e comunismo, per il moderno corporativismo. Tuttavia, di siffatte con­fluenze politiche non ci vogliamo occupare qui : che ciascuno faccia il suo "me­stiere"! Ci meraviglieremmo del contrario, ma tanto siamo cinici, che non siamo usi a meraviglie. Come non vogliamo occuparci dei fatti personali della vita di Keynes, dalla sua bassa e sordida speculazione di aggiotaggio borsistico sui ti­toli emessi per la I guerra mondiale, quand'era giovin sottosegretario di Sua Maestà, alla sua riservata ed elitaria appartenenza al clan misogino di gaî uomi­ni soli, da Sraffa a Wittgenstein (per non far nomi), "strictly for men" nei collegi di Cambridge. La semplicissima e banalissima cosa che qui unicamente vorremmo met­tere in evidenza è - alla luce delle circostanze di merito prima appena accennate - la necessità di denunciare quanti vorrebbero trasformare l'ultraconservatore e per certi versi reazionario lord Keynes non solo in "progressista" (valga qui il più volte altrove ricordato giudizio di Marx sulla genìa dei "conservatori-progressisti"!), ma perfino in amico e possibile teorico dei comunisti, buono per tutte le stagioni. Del resto, col catto-comunismo, c' è chi l' ha provato a fare an­che con i papi! Che molte osservazioni empiriche e fattuali di stampo keynesia­no siano interessanti e financo utili, non lo neghiamo: Marx stimava il reaziona­rio Balzac come storico e profeta del potere borghese nella società della sua epoca. Ma, di qui ad assumere le teorizzazioni keynesiane come fondamento dei programmi comunisti, ce ne corre! Gli è che, rinfocolando l'antica tradizione ri­formista delle "teorie redentrici", diceva Marx, dei miglioratori del capitalismo di stampo liberal-laburista, di recente si assiste sempre più spesso a un uso "si­nistro" dei detti del lord britannico - dal bonario autodissolvimento del capitali­smo in base alla stessa "natura del capitale" del cap. 16, alle benefiche prospet­tive della "filosofia sociale" del cap. 24 (secondo i diversi gusti dei proponenti), fino agli splendori e miserie del welfare state, o stato sociale malamente inteso anziché assistenziale, quasi fosse un pezzetto birichino di socialismo!      Ma è proprio Keynes a metterci sulla buona strada per illustrare la totale inconciliabilità della sua teoria col comunismo, e quindi col marxismo. Le sue dirette opinioni sul marxismo sono della stessa rilevanza, a questo fine, della deriva del "socialismo antimarxista" di Proudhon-Gesell: e questo è il suo riferi­mento autentico e non apocrifo. Non c'è nulla di nuovo nella voluta confusione borghese contro la disperata ricerca di autonomia culturale e politica da parte del proletariato. Sì che un uso improprio del keynesismo (e figurarsi se non c'e­ra da aspettarsi anche il post-keynesismo!) possa venire imposto come base por­tante del "comunismo" (si fa per dire!) a sostituzione delle indicazioni di Marx o di Lenin; o, come altri vorrebbero, a loro integrazione e "approfondimento". Basti leggere cospicui "documenti" della sinistra, anche presunta "comunista". Dunque, non abbiamo nessuna prevenzione contro Keynes : onore al Lord! Purché lo si lasci al suo posto, alla sua classe - la "borghesia colta" da lui stesso tassativamente prescelta, alla cui lotta ha dichiarato sempre di aderire - e alla sua collocazione politica, onde evitare sgradevoli confusioni nella testa e nell'avversa lotta dei comunisti. Ma chi provasse ancora a sostenere pubblica­mente la tesi che Keynes, così come i suoi profeti, da Proudhon a Gesell, non fosse un viscerale e arrogante anticomunista, tipico aristocratico carico d'odio demolitore per qualsiasi cosa gli sembrasse tinta di rosso, dovrebbe almeno do­cumentarlo con un minimo di serietà. Qui noi ci premuriamo di dare meticolo­samente la documentazione dell'anticomunismo keynesiano e previo. Ci muo­viamo sulla base inoppugnabile dei testi e delle posizioni politiche di Keynes (e per lui di Gesell, che non avremmo certamente noi evocato dall'oblìo, e di Proudhon, che viceversa Keynes, sponsor di Gesell, si guarda bene di citare una sola volta in tutti i suoi scriti e scarabocchi raccolti in trenta corposi volumi). Perciò, chi altrimenti continuasse in quella improbabile e disperata "sini­stra" difesa di Keynes non solo avrebbe il pesante onere di una prova difficil­mente eludibile, ma dimostrerebbe anche ignoranza o malafede. L'una cosa non esclude l'altra. Qui seguono poche pagine riguardanti Keynes (parte delle quali già altre volte vanamente pubblicate: cfr. Lineamenti, n.10/1985, l'appendice di Pierino e il lupo, Contraddizione, Roma 1988, di cui quel primo estratto fu an­ticipazione, e più recentemente, riprese sempre dalla stessa fonte originaria, su Marxismo oggi, n.2/1995). Esse sono costituite da sue espressioni testuali, e ser­vono dunque solo a documentare ai militanti ignari, e non ai supponenti keyne­siani "di sinistra", quale fosse il sentire di lord Keynes nei confronti del "rozzo proletariato" - "non tutti idioti", bontà sua! - del loro riferimento marxista e del­le loro lotte per il comunismo. Tutto ciò per alcuni potrà risultare sorprendente; ma chiunque ha la possibilità di consultare i suoi scritti ai quali si fa riferimen­to. L'edizione citata è quella dei Collected writings, ordinata dalla Royal socie­ty of economics, McMillan, London 1971-79 [il riferimento è al volume, nume­ro romano, e alla pagina, numero arabo]. Il marxismo non è un dogma, e guai a chi ha provato a ridurlo a un atto di fede. Ma proprio il non stravolgerlo in dogma fideistico impone la conoscen­za fondante dei suoi principî scientifici, irrinunciabili, non barattabili con spurie diminuzioni o con eclettici sincretismi. Il marxismo, come teoria della lotta di classe - dalla parte del "rozzo proletariato" e non della "borghesia colta" cara a Keynes - è intrinsecamente antitetico all'ideologia dominante, e non può essere ridotto a semplice "eresia" di quella. Nella storia, eretici erano coloro che avan­zavano scelte contrastanti all'"interno" della comune fede, a differenza degli "infedeli". E per gli "infedeli" della religione borghese - i marxisti, non i dog­matici a contrario - la lotta che mira all'abolizione della proprietà privata delle condizioni della produzione, e solo a quello, non è semplice eresia, né tantome­no consolatoria palingenesi. Si fa invece prendere in giro dall'astuto lord chi crede che i capitalisti siano così stupidi, ingenui, bonaccioni o filantropi da an­dare suicidi verso la loro "bella morte" - la mitica "eutanasia del rentier": ma dove? in quale mondo? o verso l'altrettanto mitica "piena occupazione" nel co­siddetto "stato sociale": di chi? del capitale!  Per i "parassiti" c'è la "bella morte" - l'eutanasia;  per i proletari solo una "brutta morte" e le teorie redentrici degli intellettuali progressisti. Chi vo­glia continuare a usare Keynes da sinistra e conciliarlo con il marxismo, faccia allora pure tutte le acrobazie teoriche politiche che gli piacciano! Per parte no­stra abbiamo ripetute volte formulato critiche circostanziate alle teorie keyne­siane, dal pieno impiego allo stato sociale, dal denaro come reddito al sottocon­sumo: per cui qui non ci è sembrato opportuno ripeterci [cfr. per tutti, a titolo di esempio generale, Lo stato asociale del capitale, in La Contraddizione, no.31]. Abbiamo perciò rinunciato a commentare qui alcuni passaggi più significativi delle pagine keynesiane che seguono (sul razzismo contro islamici ebrei e slavi, sul disprezzo per stupidità e rozzezza dei comunisti considerati di seconda scel­ta, sull'ammirazione sconfinata per gli intellettuali borghesi ritenuti l'essenza della vita, sull'esaltazione dell'amore per il denaro, fino al terrore per l'orribile conversione alla paccottiglia comunista dei giovani perbene, e così via di indi­gnazione in ripugnanza). L'individualismo conservatore di Keynes parla da sé.               Diverso è il caso del suo novello Carneade, il vate Gesell, ben più ignoto del vecchio scettico cirenese campione degli sconosciuti. La sua oscura, per non dire inesistente, fama richiede un' esposizione critica un po' più circostanziata, ma non inutile per il mondo presente. Grazie a lui, infatti, l'operazione tanto ca­ra alla sinistra postmoderna di raccordare Keynes a Proudhon, in nome di un socialismo liberale e libertario, cessa di essere una giustapposizione estrinseca. É infatti al Gesell della filosofia sociale che si è ispirato Keynes, proclamando stentoreamente che "il futuro dovrà apprendere più dallo spirito di Silvio Gesell che da quello di Marx" e che "la risposta al marxismo va trovata tra le righe del­la prefazione del libro di Silvio Gesell, L'ordine economico naturale", il cui "scopo, nel suo complesso, può essere ricercato nell'elaborazione di un sociali­smo anti-marxista".                Ma proprio tra quelle righe c'è immediatamente ed espressamente, dun­que intrinsecamente, il proudhonismo tutto intero. E c'è anche molto di più, qualcosa che sicuramente è piaciuto a Keynes tanto da fargli eleggere Gesell a suo profeta, ma che è ancor meno conciliabile col comunismo e col marxismo delle insensate alchimie economiche monetarie di cotanto profeta. Questo di più, partendo da Stirner e Nietzsche, va dal cosiddetto "darwinismo sociale" al­l'eugenetica, dalla giustificazione "sociale" dell'egoismo all'incrollabile fede nella proprietà privata delle condizioni della produzione, dall'esaltazione dello zelo sacrificale del lavoro, non più salariato, all'invocazione imperativa della pace sociale. Ce n'è abbastanza, allora, per capire dove finisca la grande scoper­ta di un "nuovo" socialismo antimarxista cui agognava il lord: del resto tutte le "novità" del postmodernismo sono vecchie più del cucco. Tutto ciò facilita an­che, pertanto, quanti sulla base della lezione marxiana vogliano criticare seria­mente il keynesismo, giacché le pagine rivolte da Marx contro tutto il proudho­nismo - dall'economia (valore, lavoro, denaro, ecc,) alla politica (società civile, stato, ecc.) - si traducono immediatamente in un'adeguata critica alla pretesa fi­losofia economico sociale keynesiana.         Silvio Gesell, nacque nel 1862, da padre tedesco e madre francese, in una provincia allora tedesca (Malmédy), al confine col Lussemburgo e passata al Belgio dopo la I guerra mondiale. La sua opera fondamentale, praticamente l'unica, è Die natürliche wirtschaftsordnung durch freiland und freigeld, (1906-11) raccolta in volume e pubblicata a Berlino e Basilea nel 1916 [citata da Keynes nella traduzione inglese, The natural economic order; indicando il capitolo, numero romano, e il paragrafo, numero arabo, qui ci si è comunque ri­feriti alla traduzione francese, L'ordre économique naturel, Rivière, Paris 1948, dove è ben posto in rilievo, per le ragioni che saranno presto evidenti, che fu "stampata a Besançon, patria di P.J.Proudhon"!]. Carneade Gesell ha fatto fortu­na come commerciante in Argentina; tornato in Germania, con base in Svizzera, fu fuggevolmente ministro delle finanze, dal 1° al 14 aprile 1919, nel governo repubblicano socialista della Baviera (rovesciato poi dal governo comunista (*) del­la seconda repubblica dei consigli); infine fondò la lega "terra-libera, moneta-libera" (una sètta quasi religiosa, avverte lo stesso Keynes, del genere di quella di Henry George).               Dalla cronologia biografica del soggetto prorompe prepotentemente l'i­gnoranaza e la cialtronesca visionarietà del punto di vista piccolo borghese che lo caratterizza. Errori, ovvietà, banalità e fantasticherie da senso-comune-dell'uomo-medio sono profuse a ogni pie' sospinto. Ma ciò è quanto è servito per affascinare Keynes. Se il lord lo ha eletto a suo profeta negletto, tanto ci ba­sta per giudicare anche il messia. Dunque il riferimento a Proudhon è in Gesell assolutamente diretto e pieno, qua e là con tracce del lassallismo post-proudho-niano nei termini del "prodotto integrale del lavoro" ferocemente distrutto da Marx nella critica del programma di Gotha. Cosicché il proudhonismo di Key­nes non abbisogna di ulteriori sforzi per essere messo nell'evidenza necessaria.       Partendo da Stirner e Nietzsche, il prof. Gesell (nel senso del profeta) si riferisce a Gustav Landauer, teorico dell'anarchismo tedesco, assassinato per la prima repubblica dei consigli di Baviera. Costui, al pari del suo seguace Gesell, lottò contro il marxismo (accusato di centralismo autoritario, criticato per il ma­terialismo storico e per la concezione della base economica della società); fu esponente della tendenza anarco-comunitaria, articolata su leghe prevalente­mente rurali, che predicava la ricostruzione sociale comunitaria su vincoli uma­ni e senza stato. Contro le "aride analisi scientifiche", opponeva una volontà quasi mistica di libertà, come forza "ideale". Interessante è notare che anche il Landauer - da Proudhon ascendente di Gesell, a sua volta ascendente di Keynes - non si inventò niente di "nuovo", del resto come tutti i sedicenti "innovatori". Il suo riferimento era infatti espressa­mente Étienne de La Boétie (un umanista francese della metà del XVI sec.). Di costui, sodale di Montaigne, si rammenta il Discorso contro la servitù volonta­ria, vòlto ad abbattere la servitù, che egli riteneva determinata dall'"arbitrarietà" del potere [chi si ricorda, oggi, della cosiddetta "autonomia del politico"?!], ap­pellandosi alla reale "volontà" di raggiungere la libertà naturale [chi parla, dopo quattro secoli, di volontarismo?!]. Per raggiungere lo scopo sarebbe stato neces­sario e sufficiente sottrarre progressivamente riconoscimento a stato e istituzio­ni, attraverso forme alternative di cooperazione, naturalmente "esterne" alle for­me sociali dominanti [chi pensasse, oggi, al cosiddetto "esodo" dal mercato, alle autoproduzioni e ai lavori-socialmente-utili, al non-profit, e a quant'altro "fuori -mercato", non sbaglierebbe di molto!]. Il protestante Calvino, il giacobino Marat, il congiurato Babeuf, il cri­stiano Lammennais, fino all'anarchico Landauer, tutti si sono ispirati a quell'an­tico umanista. Ma almeno La Boétie aveva a che fare col feudalesimo di Carlo IX! E certe ipotesi di autorganizzazione della produzione e della vita comunita­ria nel 1500 potevano aver ben altro senso, al di là del volontarismo caratteristi­co di tali "utopie". É col passar di anni e secoli che le utopie diventano sempre più idiozie: <all'immaturità della posizione delle classi, corrispondevano teorie immature>, asseriva Engels a giustificazione storica dei grandi utopisti; ma ag­giungendo con Marx nel Manifesto che <i loro scolari formano sempre delle sèt­te reazionarie. Essi tengono fermo alle vecchie opinioni dei maestri, per smus­sare la lotta di classe e conciliare i contrasti>: da Proudhon fino a Keynes e al "terzo settore", in attesa messianica dell'avvento del "regime mutualista".  Questi sono gli ascendenti del keynesiano Gesell, o del geselliano Key­nes. Non per caso in entrambi, come in Produdhon loro "oracolo", si può rileva­re attrazione e disprezzo della moneta - qual è il classico abbinamento tra co­profilìa e coprofobìa. Capovolgendo il mondo nelle proprie intenzioni (buone o false che fossero), tutti codesti riformatori della società in provetta - per lasciar­la sostanzialmente com'è, secondo l'intuizione del socialismo borghese e l'inse­gnamento del dr. Dühring - hanno capovolto anche causa ed effetto. Pensano di rimuovere le cause reali dei fatti economici agendo sugli effetti monetari, come tutti i "meteorologi" dell'economia borghese. Così, il capovolgimento tra inte­resse monetario e profitto fa sì che qualunque manovra arbitraria sul primo sia ritenuta capace di determinare il secondo. Ingenuità o imbroglio? Man mano che queste idee, da Proudhon a Keynes via Gesell, sono venute sviluppandosi, l'imbroglio sembra sempre più prevalere sull'ingenuità: ma allora i "comunisti" che vengono dopo Keynes, restandone affascinati, chi sono? che cosa sono? Le dabbenagini del "keynesiano" Gesell sono indescrivibili. Quella più famosa è la cosiddetta moneta libera, ossia una moneta "deperibile" o "a tempo" [si veda la riproduzione del fac-simile di tal moneta, che per preveggente ironia, a ottant'anni dalla proposta geselliana, porta la data del 1989, ben più emblema­tica del 1984 orwelliano]. L' invenzione di una simile moneta, più pazza del già ordinariamente pazzo denaro, fa da sfondo alla pia e sciocca illusione dell'"eutanasia del rentier", ossia alla relativamente rapida fine (una ventina d'anni per l'uno, una generazione per l'altro) della scarsità di capitale produtti­vo d'interesse, tasso di interesse che così scenderebbe definitivamente a zero.  Per arrivare a tanta felicità, secondo Proudhon imitato da Gesell imitato da Keynes, occorrono simili marchingegni monetaristici più o meno stravaganti. Per essere convalidata la moneta deperibile "a tempo" geselliana avrebbe ri­chiesto l'applicazione di un bollo mensile: il che equivale sostanzialmente a una svalutazione basata su una sorta di "inflazione programmata" di recente tragica memoria; senza che quest'ultima abbia risolto nessuno dei problemi reali della crisi. É interessante pure notare come Gesell abbia raccolto giudizi sulla moneta libera da una grande varietà di soggetti sociali: dettagliante, cassiere, esportato­re, industriale, usuraio, speculatore, risparmiatore, cooperatore, creditore, debi­tore, direttore dell'ufficio di collocamento, esponente del mutualismo, teorico dell'interesse, teorico delle crisi, teorico dei salari. Su quindici figure coinvolte non è presente neppure un salariato ! - per pregresso amor di Keynes. In effetti già nel profeta Gesell sono promossi todos caballeros. Tutti sono considerati esplicitamente lavoratori: dal contadino al re, passando per commessi e preti! Tanto che il salario non è ritenuto una forma necessaria dell'economia politica del capitale. Marx polemizzò con estrema chiarezza e precisione in tal senso contro Pellegrino Rossi, già nel 1847. Ma, in effetti, una tale derubricazione del salario come categoria inessenziale è uno dei nerbi di sostegno anche del keynesismo (dopo del marginalismo e prima e insieme allo sraffismo). Se il lavoro non è considerato in quanto ridotto alla sua forma di merce forza-lavoro, e se la forma del rapporto viene semplificata nella pura e semplice vendita del "prodotto del lavoro", non si ha, né si può avere propria­mente, "salario", ma soltanto prezzo del servizio o del prodotto fornito. Ecco allora che il "reddito da lavoro", non l'inessenziale salario, è defi­nito come residuo del prezzo del prodotto al quale siano stati sottratti interesse e rendita. E così è precisamente pure in Keynes, dove il salario e il lavoro salaria­to propriamente non ci sono. Di qui emerge l'indicazione socialista antimarxista dell'unità dei produttori (dal contadino al re di cui sopra, tutti insieme!) contro i parassiti (ossia i fruitori di interesse e rendita - il profitto, si sa, nella teoria eco­nomica borghese non c'è, essendo in equilibrio uguale a zero). [Chi pensasse di ravvisare in codesti detti qualche anticipazione del "patto tra produttori", per la lotta alla speculazione parassitaria dei percettori di rendita, non si preoccupi troppo: è propro così]. Le stramberie di Gesell, il più amato da Keynes, non possono che appro­dare all'ordinaria confusione della merce. Come nelle proudhoniane gorzate, già allora il valore d'uso era sistematicamente confuso col valore (di scambio) della merce. Fingendo di ragionare, in questa società, in termini di prodotto fisico an­ziché di valore, tutto sembrerebbe finire sempre per il meglio. Solo che non è così. Sopprimere idealmente le crisi, ipotizzando astrattamente che le cause stesse delle crisi non ci siano (dalla sovraproduzione all'impossibilità di abolire l'interesse sul denaro come capitale), equivale alla trasformazione in flipper del mitico nonno con otto palle! Ma l'intellighentsia borghese è sempre stata mae­stra in tali salti mortali. Con il che anche gli "sbocchi" di Say, con la loro offerta che crea immancabilmente la propria docile domanda, sono rivisitati attraverso Proudhon: prima con la curiosa ipotesi di un possibile "plusvalore" negativo (al pari del maggiore Douglas citato da Keynes tra gli "eretici"), poi anticipando per tal via la creazione artificiale di domanda keynesiana sottratta alla detenzio­ne monetaria di risparmio. Questo altro non è che la "mano visibile" capace di far funzionare il meccanismo di Say anche suo malgrado, e non la sua critica come nell'analisi marxiana. E forse non è un caso che Gesell attribuisca curiosamente a Marx la con­cezione del "capitale come cosa" - dimostrando ignoranza profonda, al pari di Keynes, della teoria marxiana, laddove proprio Marx critica per primo contro i classici il capitale come cosa, definendolo un "rapporto sociale". Ma lo scopo di Proudhon-Gesell-Keynes e loro posteri è tornare alla vaghezza della concezione di capitale e plusvalore come entità "intangibili", da intendersi proudhoniana­mente come "situazioni"! Col che tutto è più chiaro. Grazie Gesell !"   FINE  DELLE  INFAMITA’            Ora, per un professore universitario che osa, poco sopra, scrivere "Ci muo­viamo sulla base inoppugnabile dei testi e delle posizioni politiche di Keynes (e per lui di Gesell, che ........" il non essersi accorto che il capitolo 4.7.7., anche se intitolato 'Il risparmiatore' avrebbe potuto tranquillamente esserlo 'Un lavoratore che pensa alla sua pensione' e quindi sputtanare G. per non aver riportato il parere neanche di un lavoratore, oltre che una falsità mi sembra veramente un insulto, oltre che alla 'decenza', anche alla 'docenza' ....... ma su quali 'testi/e' si è ampiamente documentato l' esimio professor Pala .......forse su quelle di cazzo ?.......o forse - dato il suo continuo richiamo ai Bignami keynesiani – avrà giusto dato un’ occhiata distratta ad un - ammesso che ci sia - Bignami sull’ austriaco Gesell  ?  L' abilità prestidigitatoria, quel mandrakismo di certi marxisti da operetta (che loro attribuiscono invece alla 'intellighentsia borghese', vedi sopra) è, infatti, proverbiale, fino ad aver la faccia tosta, subito dopo aver scritto "Non vogliamo occuparci dei fatti personali della vita di Keynes....." di subito, spudoratamente, tirar fuori la sua affermata omosessualità ! Ma, quando mai un uomo (che si dice) di sinistra, ha cercato di screditare il prossimo per i suoi orientamenti sessuali ?! Quando mai un uomo di sinistra - che ragiona in base all' assioma 'dove non c' è vittima non c' è - e neanche ci può essere -   delitto' - si è messo a sanzionare l' omosessualità  fra adulti consenzienti  ?!........ma se io volevo addirittura partecipare alla sfilata romana del 'gay-pride' con un simpatico cartello 'Grazie infinite, amici gays, perchè così lasciate più patonza a noi !' ma neanche tra i miei figli son riuscito a trovare un altro ameno spirito che accettasse di  sorreggere l' altro capo dello striscione ! Non me ne frega niente se Keynes sia stato omosessuale : per me (e spero per tutti !) continuerà a valere almeno mille Pala-etero ! Vogliamo provare almeno a scusare la sua mancata immediata contestazione dello stato totalitario, onestamente ricordando come la Germania nazista non solo sia stato il primo paese, industrialmente avanzato, a trarsi fuori dalla drammatica crisi economica degli anni 30, portandosi ad un livello di produttività che ha richiesto una coalizione addirittura mondiale per essere sopraffatto ?!  Che, in quegli stessi anni (1923), Chamberlain (va bene che aveva sposato Eva Wagner, ma era stato pur sempre un primo ministro inglese !) scriveva : "Hitler è un dono di Dio, un essere che il Signore ha inviato sulla terra a testimoniare la grande vitalità della nazione ; e se la Germania, nella sua ora più triste, ha saputo produrre un Hitler, io adesso posso addormentarmi in pace." ?! e, di lì a poco, un certo don Peppino Stalin, onde aprire all' armata rossa la via verso il cuore dell' Europa, avrebbe sottoscritto quel trattato Molotov-Ribbentropp che ha avviato la seconda guerra mondiale ?! E poi, con quale buon diritto la critica ad un Keynes, supposto favorevole al totalitarismo, può provenire da un pulpito marxista, cioè non certo meno totalitarista ?! .......ed il fatto poi che Keynes osi dire d' aver trovato asfissiante parecchi tratti de 'Il Capitale' (come lo comprendo !) semmai prova che l' ha letto davvero ed attentamente e non su un Bignami ! Siamo tutti con Marx, quando SENTE e CONTESTA, quando, ad esempio, bolla che tre generazioni di dirigenti cotonieri inglesi abbiano sepolto nove generazioni d' operai dei cotonifici ! ; quando bolla l' orario di lavoro disumano, lo sfruttamento minorile e femminile ecc.ra ; quando invita alla rivolta……ma si salvi chi può quando M. incomincia a pensare ! Pertanto se, da professor Frankestein, dovessi costruire, sul tavolo operatorio, l' ultrauomo socialista, ricorrerei senz' altro e ben volentieri al cuore di Marx ; ma (con buona pace di Schumpeter, che invece lo esalta) mi guarderei bene dal riutilizzarne il cervello, avendo a disposizione   quello assai preferibile di Gesell  !!           (*) forse un errore, probabilmente più del traduttore di NWO in francese che non del nostro enciclopedico professor Pala (a cui bisogna riconoscere il diritto di non aver dimestichezza con la storia tedesca) : quel governo era comunista solo nel senso che all' epoca i comunisti (spartacusbund) facevano ancora parte di quel Partito socialdemocratico al potere ma che - come del resto avvenne anche per la rivoluzione bavarese di Gesell - non esitò a mandare i Corpi Franchi (non quindi esercito regolare, ma mercenari prezzolati) a far fuori l' insurrezione spartachista di Berlino, finita con l' assassinio dei suoi due capi, la Luxenburg e Liebknecht.

 

[2] N.d.t. : il testo tedesco porta 2.000, ma ciò è contraddittorio con i successivi conteggi ; vedi la nota sei dove si spiega dettagliatamente la discordanza.

[3] N.d.t. : astuto (il nome, in greco, significa appunto 'intelligente, perspicace') re di Corinto, che riuscì a gabellare Ade (Plutone per i Romani), ordinando alla moglie, prima di morire, di non celebrargli il rito funebre ; in tal modo, lamentatosi con Ade del menefreghismo della moglie, per solidarietà maschile ottenne da lui il permesso di tornare sulla terra per punirla, ma poi, una volta uscito dal regno dei morti, si guardò bene dal tornarci per lungo tempo. Zeus volle allora punirlo facendogli, dopo la seconda morte, spingere eternamente un enorme masso lungo una collina, per poi farlo cadere, non appena giunto in cima, onde ricominciare a spingerlo in salita : per tal ragione si dice di un' enorme ed inutile fatica 'fatica di Sisifo'. Al suo mito si è ispirato anche Camus.

[4] Capitale industriale, commerciale, agricolo, di debiti pubblici, di mezzi di trasporto ecc.ra.

[5] N.d.t. : a me viene 1.237,10, mentre la formula dell’ interesse composto (senza cioè scaglionamento trimestrale ma continuo) la eleverebbe addirittura a 1.250,36, ma queste piccole differenze non sono significative.

[6] L' eliminazione dei costi finanziari, che oggi gravano su tasse e prezzi, potrebbe risolversi alternativamente o a prezzi ridotti (a parità di salari) od a salari aumentati (a parità di prezzi) : tanto, in ambedue i casi si accresce la potenzialità di risparmio della classe operaia. Ma l' ultima soluzione, che, nel transitorio, non danneggia l' economia, è senz' altro preferibile ; così, dall' inizio del capitolo si è dato per scontato che lo IUV avesse appunto mantenuto i prezzi allo stesso livello. Se, al contrario, si facessero decrescere, con gli interessi, anche i prezzi, si potrebbero mantenere costanti gli stipendi ed anche in tal caso si realizzerebbero maggiori risparmi, solo tali somme non sarebbero immediatamente confrontabili con quelle precedenti, perchè queste andrebbero preventivamente deflatte      N.d.t. :cioè ridotte d' importo, in quanto ottenute in epoca in cui i prezzi delle merci erano più alte ; ma costì G. stavolta commette un non perdonabile errore ; egli probabilmente ha ragionato così (vedi anche comma 4.7.7.2.4.2.) : 'poichè uno stipendio di 1000 € annui corrisponde ad un saggio d' interesse del 4%, a saggio d' interesse 0%,  mantenendo costanti i prezzi, lo stipendio raddoppierà a causa della riforma liberterra e raddoppierà ancora per quella dell' iceeuro, cioè 4 x1.000 = 4.000 €  di cui 2.000 potranno essere risparmiati. Ma non è così : se lo stipendio di 1.000 € annui ingloba 170 € annui d' interessi per l' abitazione e 510 € annui d' interessi per investimenti non abitativi (vedi commi 4.7.7.2.2.7.i e quindi anche per la quota di canoni agrari di cui alla riforma liberterra), totale 680 € annui di redditi da capitale, che possono essere effettivamente stornati da quest' ultimi e sommati al salario, portandolo ad un massimo di 1.680 € annui, senza far aumentare i prezzi ; mentre qualunque altro maggior compenso (che potrebbe anche sopraggiungere per assestamento del così gravemente perturbato sistema economico) non potrebbe che essere sentito dall' indice dei prezzi, comportando una proporzionale svalutazione. E da un reddito di 1.680 € annui non se ne possono risparmiare i 2.000 indicati da G. (risparmio maggiore del reddito ?) ; è invece nuovamente compatibile il risparmio di 1.100  € annui di cui al comma 4.7.7.2.2.7.1. (se dallo stipendio di 1.000 € cento sono destinati al risparmio e 680 a profitti di capitale, significa che il nostro lavoratore poi spendeva 220 € annui per tutte le altre spese esistenziali, per cui, con un reddito di 1.680 € annui (al netto dei redditi da capitale che incrementa il tenore di vita a 580 € annui, ma quindi potendone tranquillamente risparmiare 1.100) ; poi vi è un altro dato inspiegabile, perchè, nell' estendere il montante pensionistico a 20 anni, scappa fuori un - impossibile in assenza d' interessi - 38.000 al posto del giusto 22.000 € ; in conclusione ho abbandonate le cifre del testo tedesco, comunque basate su quel 38.000 erroneo e quindi estremamente più favorevoli, perchè G. presupponeva soli 30 anni, da inizio attività lavorativa a morte, mentre io ho aggiornato la cifra al fortunatamente aumentato valore medio della vita (da inizio attività lavorativa a morte 50 anni) per  evidenziare come, nel caso dell' iceeuro, quindi senza interessi, sia possibile, incominciando l' attività lavorativa post laurea (25 anni) e dopo vent' anni di lavoro, mettersi tranquillamente in pensione fino alla fine dei propri giorni (basterà fare, in precedenza, un po' di - non certo impossibili - economie se si campa più di 75 anni).

[7] N.d.t. : testo tedesco più breve ma non felice 'Rentner und Sparer sind keine Berufsgenossen, sondern Gegner.' Traduzione letterale : 'redditieri e risparmiatori non sono colleghi (compagni di professione), bensi oppositori.'

[8] N.d.t. : le cifre,  del testo tedesco, sono rispettivamente :3.024,48 al posto di 3.056,48 ; 38.000,00 al posto di 22.000,00, mentre la differenza (38.000-3.024,48) non è calcolata.

[9] N.d.t. : il dato non è corretto, vedi nota 6.