1.3. Come e quanto i profitti di capitale possono sottrarre al reddito del lavoro agrario.

 

SINTESI: 1.3.1.i.: strapotere del proprietario terriero; 1.3.2.i.: l’emigrazione valvola di salvezza; 1.3.3.i.: inevitabilità di simile spolpamento.

 

1.3.1. LO STRAPOTERE DEL PROPRIETARIO TERRIERO

 

1.3.1.1.      E’semmai quella intensiva ad esaurire il suolo, non certo la non coltivazione (tanto che nella cosiddetta rotazione triennale, è anzi espressamente prevista una stagione a maggese per rifertilizzarlo):

1.3.1.1.1. assolutamente niente costringe il proprietario a far coltivare il suo fondo (terreno fabbricabile, cava, miniera, risorsa idraulica, bosco ecc.ra);

1.3.1.1.2.  ed allora, questo incontrastato signore del suo patrimonio,[1] per non lasciarlo incolto, pretenderà d’essere convenientemente invogliato,

1.3.1.1.3. ad esempio con un sostanzioso canone d’affitto, e ciò costituirà l’unico motivo per cui il colono è tenuto a corrisponderlo.

1.3.1.1.4. E - con questa consuetudine ormai divenuta atavica - quand’anche noi riuscissimo a moltiplicare la superficie terrestre e la sua fecondità,

1.3.1.1.5. ugualmente a nessun proprietario terriero salterebbe in testa l’idea di consentire il suo podere senza compenso, semmai convertendolo a propria riserva di caccia o parco:

1.3.1.1.6. dunque, finché mancherà la concorrenza, cioè un’offerta di terra a condizioni gratuite o quasi, il coltivatore non ha proprio scampo!

1.3.1.2.      Ma quanto potrà pretendere il proprietario terriero?

1.3.1.2.1. Se, per il sostentamento umano, fosse necessario coltivare completamente tutta la superficie terrestre, se non si riuscisse più a trovare terra libera non solo sottocasa ma neanche allo sprofondo,

1.3.1.2.2. se l’intiera terra fosse già stata presa in proprietà e/o conduzione privata, e non fosse più possibile - neanche attraverso l’aumento di mano d’opera e la cosiddetta 'cultura intensiva’ottenere un aumento di produzione,

1.3.1.2.3. allora da una parte la dipendenza dei proletari dai loro 'dominatori agrari’diventerebbe veramente incondizionata, come al tempo della servitù della gleba;

1.3.1.2.4. mentre dall’altra diventerebbero veramente insostenibili le pretese dei proprietari terrieri, che cioè avrebbero la possibilità d’esigere per loro praticamente tutto il raccolto,

1.3.1.2.5. appunto lasciando ai proletari - come un tempo agli schiavi - solo l’indispensabile al loro mantenimento e riproduzione.

1.3.1.2.6. In questo caso quindi veramente si perverrebbe alla cosiddetta 'eterna legge del salario-minimo indispensabile', del 'subisci-o-muori'[2];

1.3.1.2.7. e - mentre il contadino si vedrebbe completamente abbandonato ai caprici ed alla benevolenza dei proprietari terrieri - per canone di affitto si potrebbe pretendere praticamente l’intiero raccolto,

1.3.1.2.8. detratti solo i costi di sopravvivenza degli 'animali da tiro', ed includendo fra questi anche la famiglia colonica[3]!

1.3.1.3.      Fortunatamente questa condizione, indispensabile al subisci-o-muori, è ancora ben lungi dal sussistere, perché la terra è ben più grande e fertile dell’attuale fabbisogno:

1.3.1.3.1. due terzi sono incolti e praticamente senza padrone, mentre il terzo rimanente è coltivato quasi esclusivamente estensivamente[4];

1.3.1.3.2. talché, passando alla cosiddetta coltura intensiva[5], forse potrebbe bastare già un decimo del superficie terrestre per fornire all’umanità la stessa razione alimentare annua, mediamente disponibile al giorno d’oggi.

1.3.1.3.3.  Così, nove decimi della superficie terrestre potrebbe rimanere a maggese (senz’altro ciò non deve dare l’impressione, che lo si desideri;

1.3.1.3.4. ma qualora ognuno volesse abboffarsi, senza accontentarsi delle solite patate, mantenendosi magari anche un cavallo da sella e cortili con pavoni e colombe ed un roseto od uno stagno,

1.3.1.3.5. davvero la terra veramente finirebbe col diventare troppo piccola.

1.3.1.4.      La coltivazione intensiva comporterebbe [6]: bonifica, irrigazione, indagine chimica ed accorta correzione del suolo, rippatura (aratura profonda), rimozione del pietrame occorrendo anche con esplosivi, marnatura ed applicazione di concimi artificiali,

1.3.1.4.1.  opportuna scelta delle coltivazioni, selezione di piante ed animali, disinfestazione di frutteti e vigneti, persecuzione delle locuste; risparmiare animali da lavoro ricorrendo ad autotrasporti ed a quelli, fluviali o ferroviari;

1.3.1.4.2.  migliore utilizzazione dei foraggi a mezzo sostituzione con altri di recupero (sanse ecc.ra); limitazione dell’allevamento ovino a mezzo incremento dell’uso del cotone; vegetarianismo ecc.ra.

1.3.1.5.      Ma fortunatamente, al giorno d’oggi, ancora nessuno è sottoposto alla scarsità di suolo coltivabile e conseguentemente la dipendenza dei coltivatori, dai malumori dei proprietari terrieri è ancora contenuta.

1.3.1.5.1. Solo che costoro hanno in proprietà tutto il suolo migliore, ed ormai, nei circondari delle città, ben poche sono ancora le terre sia libere, sia che, per la loro bonifica, non richiedano una montagna di lavoro.

1.3.2.    L’ EMIGRAZIONE, VALVOLA DI SALVEZZA

1.3.2.1.      Poiché sia il contadino che l’agrario sanno che la coltivazione intensiva richiede molta mano d’opera, e - anche avendo la possibilità economica di farlo - non è da tutti emigrare in luoghi selvaggi verso terre libere;

1.3.2.1.1. poiché inoltre la scarsa densità abitativa dei paesi lontani costringe ad asportare il prodotto con gravose spese, mentre la patria ingrata magari anche lo grava con pesanti dazi,

1.3.2.1.2. prima di decidersi all’emigrazione, o prima di mettersi a bonificare una palude nelle vicinanze onde coltivarla o di ridursi nella boscaglia, il primo saggia quanto gli verrebbe a costare l’affitto di un podere;

1.3.2.1.3. mentre il secondo - prevenendolo e nella consapevolezza di poter pretendere come affitto del suo podere la maggior parte dei risparmi, conseguibili col suo campo rispetto ad una conduzione[7] allo sprofondo, già aveva incominciato a tirar queste somme:

1.3.2.1.4. ma essendo ben difficile un conto analitico, più spesso si procede a braccio[8] od in base alla propria esperienza precedente.

1.3.2.2.      Nel frattempo qualche giovane coraggioso emigra, ed a volte i suoi resoconti favorevoli ne invogliano altri; in questo modo retrocede, in patria, l’offerta di mano d’opera, provocando un ovvio aumento delle richieste salariali.

1.3.2.2.1. Un’emigrazione sostenuta e continuata, fà effettivamente lievitare i salari d’alcuni punti, fino a rendere di nuovo dubbioso, l’aspirante-emigrante, se gli convenga partire o rimanere:

1.3.2.2.2. questa situazione corrisponde ad un’eguaglianza dei redditi di lavoro conseguibili sia in patria che altrove.

1.3.2.3.      Talvolta succede anche che l’emigrante si faccia una stima-preventiva di essi, pervenendo all’incirca ad un conto del genere; Preventivo dell’emigrante:

D E S C R I Z I O N E S P E S A

DM

Spese di viaggio per se e famiglia

1.000,00

Assicurazione sugli infortuni e sulla vita durante il viaggio

200,00

Assicurazione sanitaria per l’ambientamento, cioè costo, da prevedere per un’assicurazione sanitaria contro i particolari rischi del cambiamento di clima

 

200,00

Titolo di proprietà e sua recinzione

600,00

(Il capitale di giro è da stimarsi uguale a quello necessario in Germania, per cui non ne terremo conto in entrambi i casi)

 

-

COSTO TOTALE DELL’ INSEDIAMENTO

2.000,00

 

1.3.2.3.1. Gli interessi di questo costo (5% di 2000 m. = 100 DM. annui), risparmiabile in Germania con una locazione, è un disincentivo all’emigrazione,

1.3.2.3.2. da sommarsi al fatto che - anche supponendo che il colono riesca a raccogliere, con lo stesso lavoro, gli stessi prodotti che sul suolo natio,

1.3.2.3.2.1.           egli non deve mai dimenticarsi che il suo scopo non è tanto quello di solo produrli, quanto di ottenere, in cambio di essi, beni di consumo:

1.3.2.3.2.2.           egli cioè deve curare il trasporto della sua produzione fino al mercato e, col ricavato, comprare beni di consumo da riportarsi a casa.

1.3.2.3.3. Ma, per la ridotta densità abitativa, i mercati, per questo scambio son, generalmente, lontanissimi; possiamo supporre che uno sia la Germania, in cui effettivamente devono essere importati una gran quantità di prodotti agricoli;

1.3.2.3.3.1.            allora l’emigrante dovrà ancora pagare:

 D E S C R I Z I O N E S P E S A

DM

Trasporti delle derrate, via terra o fiume, mare e ferrovia

200,00

Dazio d’importazione in Germania

400,00

Trasporti id. id. dei beni di consumo acquistati (supposti meno voluminosi e pesanti)

200,00

Su quest’ultimi, dazio d’importazione nella sua nuova patria

100,00

Interessi persi (vedi comma 1.3.2.4.2.)

100,00

COSTO TOTALE

1.000,00

 

1.3.2.3.3.2.           Quindi, riferendosi ad un tale esempio, già dalla sola commercializzazione del prodotto il reddito del nostro emigrante riuscirà pesantemente decurtato, rispetto ad una sua produzione sul suolo tedesco):

1.3.2.3.3.3.           e nel complesso tutti i costi gli consentirebbero – senza la minima decurtazione del suo reddito e senza sottoporsi ai traumi e disagi dell’emigrazione – il pagamento di un affitto annuo di dm. 1.000,00.

1.3.3.    INEVITABILITÀ DI SIMILE SPOLPAMENTO.

1.3.3.1.      Portando a coltura terreno incolto tedesco, tra le due tabelle cambierebbero solo le motivazioni di spesa ma, grossomodo, non il totale:

1.3.3.1.1. in questo nuovo caso, al posto di trasporti, dazi ed interessi troveremmo infatti interessi ed ammortamento dei costi di bonifica della palude, della correzione con humus di diversa natura e ripristino della neutralità del terreno con calcare, concimazioni ecc.ra;

1.3.3.1.2. oppure, in quello del passaggio a cultura intensiva, salterebbero fuori i maggiori costi di mano d’opera.

1.3.3.2.      Il canone di affitto opera quindi, sempre ed ovunque, come un 'riduttore al minimo', un 'compressore del reddito di lavoro', (non del provento, ma del profitto);

1.3.3.2.1. e, dal punto di vista della conduzione agricola, il vantaggio d’un podere, ben situato e già in cultura, rispetto ad una brughiera del Lüneburg[9]

1.3.3.2.2. o, stavolta dal punto di vista della sua prossimità ai mercati, rispetto alla terra demaniale in Canada,

1.3.3.2.3.  è completamente avocato a sè, dai padroni, come rendita agraria, o, in caso di vendita, sotto forma di capitalizzazione del reddito.

1.3.3.3.      E qualunque miglioramento del reddito contadino, eventualmente concesso dalla fertilità, clima, vicinanza al mercato dei suoli, oppure dall’assenza di dazi o dai minori trasporti e così via, viene incamerato dalla rendita agraria.

1.3.3.3.1. (Si rilevi che, in tal caso, io non ho intenzionalmente elencato i salari.)

1.3.3.3.2. Economicamente parlando, quindi, per il coltivatore, imprenditore ed anche se capitalista degli altri beni strumentali, ma non proprietario, le rendite agrarie riducono l’intiero globo, a superfici tutte perfettamente equivalenti;

1.3.3.3.3. e, come FLÜRSCHEIM[10] giustamente evidenzia: "Nè più nè meno dei dislivelli del fondo dell'oceano, che son trasformati in una superficie liscia dal pelo dell’acqua,

1.3.3.3.1.  così la eventuale maggior possibilità di produzione, di reddito agricolo, è assorbita e spianata dalle rendite agrarie";

1.3.3.3.2. e globalmente – anche se è ben strano - si verifica che il reddito del lavoro agricolo si livella regolarmente a quelli ottenibili:

1.3.3.3.2.1.            in patria, dal terreno, incolto e da bonificare,

1.3.3.3.2.2.            allo sprofondo, anche dalla migliore terra;

1.3.3.3.3. perchè la rendita agraria demolisce completamente le differenze tra fertile ed improduttivo, argilloso e sabbioso, paludoso e desertico, magro e grasso, bene e male;

1.3.3.3.4. col risultato che, per il coltivatore, le rendite agrarie rendono del tutto indifferente il fatto che stia lavorando brughiere nell’Eifel [11], orti a Berlino o vigneti sul Reno!



[1] N.d.t.: il diritto romano riconosce infatti al proprietario il diritto sia di usare che di abusare della sua proprietà (jus utendi et abutendi) in cui l’abuso modernamente può anche essere inteso come 'uso antisociale'.

[2] N.d.t.: traduco così il termine, Lassalliano, 'ehernen Lohngesetzes’letteralmente = 'legge di bronzo del salario', ma il socialista Lassalle aveva creato tale locuzione per stigmatizzarla: la 'legge dell’eterno salario’ fissava il MASSIMO del salario nel MINIMO indispensabile alla sopravvivenza della classe operaia; per datore di lavoro e proletario che l’avessero violata erogava pene severe (ma logicamente ben più gravi per le povere mani incallite che non per quelle morbide e pietose)! nel capitolo 23 della VII Sezione del Capitale (ma ci si documenti anche sul capitolo 24 .....) Marx incomincia la sua bellissima, LANCINANTE requisitoria con "La storia di questa espropriazione degli operai è scritta negli annali dell’umanità con caratteri di sangue e di fuoco!"; per cui parlare in Germania della 'Gesetz des ehernen Lohnes’era un po’come in Italia parlare della 'legge del Menga'; si noti che il tedesco (probabilmente non immemore dell’oraziano 'Exegi monumentum aere perennis’(=mi sono innalzato un monumento di bronzo perenne) intende 'di bronzo’in senso decisamente temporale, qualcosa come 'molto durevole’o ‘eterno'.

[3] N.d.t.: osservazione particolarmente acuta: fortunatamente, in questo inizio del 21mo secolo ed in tutto l’occidente, sono ben pochi gli imprenditori che ancora guardano alla classe operaia come ad un parco buoi; ma la situazione è ancora ben diversa nel terzo mondo.

[4] coltura estensiva (cioè dove si cerca di risparmiare manod’opera)=conduzione con molta terra e poca manod’opera.

[5] coltura intensiva (cioè dove si cerca di risparmiare il suolo)=conduzione con molta manod’opera ma su poca terra.

[6] Vedi, stesso capitolo, note 5 e 6.

[7] si faccia qui bene attenzione alla differenza fra provento e profitto di lavoro, perchè spesso accade che magari il provento dell’emigrante sia anche dieci volte maggiore, senza che il suo profitto (reddito) sia sensibilmente migliorato.

[8] N.d.t.: 'a braccio’è un modo di dire popolare, dal significato di misurare in modo per niente preciso, col braccio invece che col metro

[9] N.d.t.: regione della Sassonia, nel nord della Germania, lungo il fiume Ilmenau, la cui omonima città fu capoluogo del Land Brunswick-Lüneburg.

 

[10] N.d.t.: Michael FLÜRSCHEIM (1844-1912), industriale siderurgico, amministratore e socio della 'Gaggenau Werke'; socialista dichiarato, traduttore e/o diffusore, in Germania, di testi progressisti (tra cui il 'Progress and powerty’di Henry George), autore impegnato egli steso (tra gli altri 'Auf friedlichem Wege’del 1884 (=Sul cammino della pace)), fondatore, nel 1886, della 'Landliga’(= Lega per il territorio), poi ridenominata 'Lega per la riforma della proprietà fondiaria’e successivamente confluita, nel 1888 nella 'Deutschland FreiLand3'(=Liberterra tedesca tre), delegato tedesco a quella Conferenza di Parigi del 1889, che nella sua risoluzione finale optava appunto per la nazionalizzazione della terra; fondatore, in Messico, della colonia di Topolobambo, di tipo memnonitico.

[11] N.d.t.: il 'Chianti’nordeuropeo dove era nato G.: regione collinare renana, a ridosso del Lussemburgo, comprendente un pezzo del 'Rheinland, un pezzo del 'Nordrhein-Westfalen’ed un pezzo del Belgio, famosa per i vigneti lungo la Mosella.